giovedì 23 novembre 2017

Lezione di Insegnare Italiano sul cloud

SOCRATIVE

costruire semplici  quiz da somministrare per verificare pre-requisiti / introdurre l'argomento/ verifica veloce in itinere/ o sommativa/autovalutativa


https://b.socrative.com/teacher/#import-quiz/31533182

martedì 22 agosto 2017

Per didattica

Blog dedicato a considerazioni e riflessioni in merito alla didattica e alle nuove metodologie, alla programmazione, alla progettazione di moduli di apprendimento, alla predisposizione di materiali per il recupero/potenziamento e al reportage di esperimenti didattici.

a cura delle docenti Sabrina Gaeta e Daniela Monesi

sabato 6 maggio 2017

Gandhi e la nonviolenza. Scheda didattica


SIMULAZIONE D'ESAME DI ITALIANO per le classi terze iefp

NONVIOLENZA
Cominciamo dai termini: nonviolenza è una parola da scrivere unita, perché ha un significato più ampio del solo no alla violenza. La persona più conosciuta per averla sperimentata e insegnata è probabilmente Mohandas Karamchand Gandhi, vissuto in India tra la fine dell’ottocento e la prima metà del secolo scorso. La sua idea di nonviolenza trae origine dalla tradizione indù dell’ahimsa, che non è un semplice divieto ma può essere intesa come agire fondato sulla verità e sull’amore. Essa dunque implica sia l’astensione dal commettere violenze su persone o animali, sia l’impegno ad una vita attiva per migliorare e rendere più giusta la propria società. Un progetto costruttivo dunque, anziché un generico pacifismo passivo.
La figura di Gandhi è senza dubbio il riferimento etico-filosofico più importante e sta alla base del moderno pensiero nonviolento. Tuttavia radici culturali si trovano in tutte le tradizioni religiose ed in numerosi pensatori dei secoli precedenti. Dal cristianesimo al buddismo, dall’animismo all’islam, in ogni fede è possibile rintracciare elementi che si richiamano alla sacralità della vita, all’amore per gli altri e al rifiuto della vendetta. Ugualmente rilevanti i contributi portati alla nonviolenza da filoni culturali come l’illuminismo, il socialismo, il pensiero liberale o quello anarchico, attraverso intellettuali differenti tra cui Henri de Saint-Simon, Lev Tolstoj, Henry Thoreau e altri.


Il Mahatma Gandhi
La formazione di Gandhi parte dai valori antichi dell’induismo, ma ad essi unisce elementi del pensiero occidentale assunti durante gli studi universitari compiuti a Londra. Per questo motivo la studiosa americana Joan Bondurant definisce il suo pensiero “essenzialmente sincretistico”. Il richiamo alla cultura tradizionale indiana gli fa guadagnare un carisma tanto vasto da venir chiamato Mahatma, la grande anima, e da ottenere un’amplissima partecipazione alle azioni da lui promosse. Tuttavia egli riesce anche ad innovare la mentalità comune del suo popolo, come dimostra la lotta a favore degli harijan– gli intoccabili che vivevano ai margini della società.
Gandhi non è un pensatore puro piuttosto un attivistache sperimenta sul campo le proprie intuizioni e poi le elabora in regole generali. La sua autobiografia s’intitola infatti “La storia dei miei esperimenti con la verità”. Nei primi tempi il suo impegno si svolge in Sud Africa, dov’era andato a lavorare nel 1893, per rivendicare i diritti della comunità indiana lì immigrata. Nel 1915 rientra in patria e si impegna contro il colonialismo inglese, ma anche contro le ingiustizie sociali e le divisioni religiose interne al suo paese.
Gandhi è insieme un pensatore – profeta per alcuni – ed un politico che interviene direttamente in innumerevoli questioni concrete, dalle relazioni tra stati alla vita di un singolo villaggio o a singoli rapporti interpersonali. In lui infatti si collegano la vita quotidiana e le scelte complessive di una nazione, il vegetarianesimo e la battaglia per i diritti dell’uomo e dei popoli. Sceglie così di vivere in una comunità autogestita – ashram – e di praticare la povertà materiale. Ciò nondimeno fa sentire la sua voce in tutto il mondo, e risulta decisivo nell’ottenere l’indipendenza per l’India.
Il principio cardine di Gandhi è che per raggiungere obiettivi giusti bisogna agire con giustizia e astenersi dalla violenza. “Il mezzo può essere paragonato a un seme – scrive ad esempio – il fine a un albero: tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che esiste tra il seme e l’albero”. La strategia di lotta che si basa su questo principio è definita satyagraha, ossia forte adesione alla verità. Nella sua applicazione pratica il satyagraha diventa un insieme di tecniche per lottare senza violenza, tra cui la protesta simbolica (appelli, manifestazioni, digiuno), la non collaborazione (scioperi, boicottaggi) e la disobbedienza civile, ossia la violazione consapevole e pubblicizzata di una legge.
L’altra idea guida di Gandhi è il sarwodaya, un modello di società nuova basato sulla nonviolenza, l’autosufficienza, l’autogestione e il non accentramento. Il fulcro di questo sviluppo alternativo è il villaggio, che deve produrre da sé tutto il necessario per svincolarsi dalla dipendenza esterna e prevenire almeno parte dei potenziali conflitti con altre società. La sua vita si regola col consenso, e prevede la partecipazione di tutti all’esercizio del potere. La proprietà è collettiva e i compiti sono distribuiti in ugual misura, favorendo la rotazione nel lavoro e l’unione di attività manuale e intellettuale. Da ciò viene il celebre simbolo gandhiano dell’arcolaio, che serve ad ognuno per tessere i propri vestiti.


Comprensione del testo
Segna le seguenti affermazioni sono vere o false:
Scrivere la parola nonviolenza senza spazi è grammaticalmente scorretto
V
F
Ahimsa, significa agire con verità e con amore.
V
F
Gandhi vive anche in Sud Africa.
V
F
Gandhi prevede che la società si divida in villaggi amministrati da una oligarchia.
V
F
Il simbolo gandhiano è la colomba di pace.
V
F
La ricchezza materiale è un valore di primaria importanza.
V
F

Punti 0,5 per ogni risposta esatta. Totale punti ___/ 3

Domande aperte (1 punto per ogni domanda)
Che cosa si intende per vegetarianesimo?
Spiega cosa intende il testo con le locuzioni: “protesta simbolica”; “non collaborazione”; “disobbedienza civile”
punti ____/2
Completa il testo
Inserisci le seguenti parole nel testo: Gandhi -terrorista- giovani- diritti - lotta - “civile”- violenza - mediatica - internazionale - Dalai- pubblica- pacifisti- bandiera
Attenzione non tutte le parole vanno inserite!
Nonviolenza vuol dire – come abbiamo visto - tante cose e si applica a molti piani della vita umana. In campo_________________ l’azione nonviolenta continua ad essere una strategia di___________ per rivendicare i propri___________ senza l’uso delle armi, come per la resistenza tibetana guidata dal____________ Lama. D’altra parte è anche uno strumento con cui volontari disarmati provano ad intervenire dall’esterno nelle guerre moderne, dove il carattere ________________ e identitario rende impotente il solo peacekeeping militare. Due sono le sfide su questo piano: ottenere il sostegno dell’opinione ____________ internazionale, nonostante l’attenzione ___________catturata più spesso dal sangue e dalla ___________; affrontare l’estremismo _____________, che aggredisce deliberatamente anche ____________ disarmati e cooperanti come accaduto in Iraq e Afghanistan.
Punti 0,5 per ogni inserimento corretto Totale punti___/5

Produzione
Spiega e commenta la seguente affermazione: “Oggi la scelta non è più tra violenza e nonviolenza. è tra nonviolenza e non esistenza”. (Martin Luther King)




punti ______/10
Totale punti della prova di simulazione _____________/20
Voto in decimi_____________



martedì 2 maggio 2017

Scheda didattica "L'invenzione della stampa"

Prova di comprensione del testo destinata alle terze classi professionali iefp 


Gutenberg e la stampa a caratteri mobili L’uomo che tradizionalmente è considerato l’inventore della stampa a caratteri mobili è Johann Gensfleish, passato alla storia col nome di Gutenberg, dal paese di provenienza. La stampa a caratteri mobili non è però un’invenzione nata dall’intuito di un genio ne tantomeno dalla fantasia di un artista ma il frutto delle costanti ricerche svoltesi nei laboratori ed officine europee durante il rinascimento. Gutenberg già nel 1440 si dedicò alla sperimentazione di una modalità per realizzare uno scritto artificiale. Ma solo nel 1450 il suo sistema fu perfezionato al punto da permetterne uno sfruttamento commerciale. La sua intuizione fu quella di fabbricare le matrici di ogni singola lettera dell’alfabeto per poter stampare un qualsiasi testo combinandole in tutti i modi, componendo e scomponendo testi, riutilizzando gli stessi caratteri per altre composizioni, nonché la possibilità di stampare svariate copie (identiche) in breve tempo rispetto ai libri manoscritti. 
Gutenberg iniziò la composizione del primo libro stampato, ma per questioni finanziarie a portarlo realmente in stampa fu Peter Shoffer così nel 1455 veniva pubblicata la Bibbia a 42 linee di Gutenberg, solo successivamente l’inventore della stampa pubblicò la sua Bibbia a 32 linee (non firmata), era il 1458. La stampa a caratteri mobili consiste in un punzone metallico, molto duro e recante all’estremità una lettera incisa a rilievo. Questo punzone veniva poi utilizzato per incidere una matrice o lastra di metallo più morbido dove successivamente si potevano fondere (con una lega di piombo, stagno ed ammonio) i singoli caratteri tipografici risultanti a rilievo come il punzone. I caratteri poi accostati permisero di ottenere la composizione tipografica, la stessa poi inchiostrata e tramite un torchio, veniva utilizzata per imprimere su fogli di carta le stampe.
Nel periodo tra il 1450 e il 1500 furono stampate in Europa più di 6000 opere e il numero di tipografi aumentò rapidamente. Se i tipografi dell’Europa settentrionale producevano soprattutto libri religiosi, quelli italiani stampavano principalmente opere laiche, come i classici greci e latini che il Rinascimento aveva riscoperto, le novelle degli scrittori italiani e le opere scientifiche contemporanee. L’Italia fu una delle mete privilegiate dei tipografi tedeschi, “discepoli” di Gutenberg: due di loro, Arnold Pannartz e Konrad Sweynheym, raggiunsero nel 1464 il monastero benedettino di Subiaco, già centro importante per la produzione di manoscritti. Stampando i primi libri Italiani: il De oratore di Cicerone, il De divinis institutionibus di Lattanzio e il De civitate Dei di Sant’Agostino. 
Nel 1468 si creò, proprio per la stampa delle lettere di Cicerone, il carattere Cicero. Successivamente passato ad indicare il carattere di corpo 12 e infine lo spessore di 12 punti Didot (corrispondente alla riga tipografica). Dall’isolamento di Subiaco decisero poi di trasferirsi a Roma, avviando una collaborazione intensa con il circolo degli umanisti: oltre che con Giovanni Andrea Bussi, vescovo e umanista, sono probabili rapporti col cardinale Bessarione, al momento alla corte pontificia, prima di trasferirsi a Venezia cui dona la sua ricca biblioteca. 
Il più importante editore e stampatore fu Aldo Manuzio nativo di Bassiano presso Roma, dal 1495 al 1515 il più importante tipografo di Venezia. A lui si deve la definitiva affermazione del carattere latino su quello gotico. Grazie alla collaborazione del bolognese Grifo, fu il primo ad utilizzare una serie di caratteri inclinati, derivanti dalla scrittura corsiva della cancelleria papale. Con questi caratteri corsivi (che gli anglosassoni chiamano Italics), Manunzio stampò la sua famosa serie di libri classici. Personalmente curò l’edizione di numerosi testi greci, latini e volgari. 
In un’opera di Lorenzo Maioli da lui edita, aggiunge una prefazione in cui loda le potenzialità di questo nuovo strumento che, secondo la sua opinione, è in grado di elevare lo spirito delle persone perché attraverso di esso la conoscenza può essere diffusa, diventando patrimonio di molti e non più di una ristrettissima minoranza. Manuzio loda anche Maioli per aver deciso di affidare le sue opere alla stampa. 
Nel 1515 Ludovico Ariosto scrive una lettera indirizza al Doge di Ferrara, a cui chiede di essere aiutato a far rispettare i “Diritti d’autore” delle proprie opere, che verranno affidate ad una tipografia per essere stampate in serie. Le preoccupazioni dello scrittore sono molto sentite, tanto che propone al Doge una forma di risarcimento danni per i trasgressori, dividendo la pena tra lui ed il Doge stesso. Ecco che viene toccato un problema nuovo che gli scrittori dovevano fronteggiare ora che il riprodurre un’opera in più copie era questione di pochi giorni. Grazie all’incredibile facilitazione, vennero alla luce una gran quantità di falsi, contraffazioni, nonchè copie illegalmente eseguite e distribuite. Anche il target iniziava a divenire ben più vasto delle epoche precedenti. Lentamente molte opere assumeranno significati propagandistici o addirittura consumistici. 
Alcune fonti: sitografia:
Biblio-Net (http://www.biblio-net.com/)
Il libro in antico regime tipografico (http://www.storiadellastampa.unibo.it/home.html)
Bibliografia
 Lodovica Braida, Stampa e cultura in Europa – Laterza, 2000. Giovanni Ragone, Un secolo di libri. Storia dell’editoria in Italia dall’Unità al post-moderno. – Einaudi, 1999. Sigfrid Henry Steinberg, Cinque secoli di stampa. – Einaudi, 1982.
Testo tratto da http://www.draft.it/cms/Contenuti/gutenberg-e-la-stampa-a-caratteri-mobili/ 

Fino a 1 punto per ogni risposta esatta secondo i criteri di correttezza dei contenuti, della forma espositiva e della capacità critica come da griglia Italiano/storia orale di dipartimento.
 1. Chi ha inventato il procedimento di stampa?
 2. Quale fu il primo libro stampato?
 3. Sai come si producevano i libri prima dell’invenzione dei caratteri mobili e su quali materiali?
4. Cosa intende il testo quando parla di “carattere Cicero” e di “Italics”?
5. Da dove è tratto il testo?
6. Cosa significano le parole “sitografia” e “bibliografia”?
7. Chi fu Aldo Manuzio?
 8. “Personalmente curò l’edizione di numerosi testi greci, latini e volgari”. In questa frase cosa si intende con testi…volgari?
Fino a 2 punti per ogni risposta esatta secondo i criteri di correttezza dei contenuti, della forma espositiva e della capacità critica come da griglia Italiano/storia orale di dipartimento.

 Molti addetti ai lavori sostengono che l’era del libro cartaceo è finita e che esso sarà interamente sostituito dal libro elettronico. Elenca in una tabella vantaggi e svantaggi di ciascuno di essi.

lunedì 1 maggio 2017

relazione web writing



Relazione attività realizzate in funzione del corso di 
“Scrivere per il web”      a.s. 2016/2017
Il corso di scrittura per il web si è rivelato fonte di ispirazione per un diverso approccio didattico. 
Le tecnologie digitali non sono sicuramente il fine del processo didattico ma costituiscono senz’altro un mezzo affascinante per avvicinare i giovani all’apprendimento, alla cooperazione  e verso i principi di cittadinanza digitale e spirito di condivisione.
Insegno materie letterarie in una ipsia e alcune delle mie classi sono nei corsi iefp (istruzione e formazione professionale). Come segnalato anche nell’ultima legge delega approvata lo scorso aprile, la formazione professionale è oggetto di scelta per ragazzi che vogliono apprendere ad esercitare una professione per immettersi presto nel mondo del lavoro, dopo aver raggiunto le competenze specifiche per la qualifica professionale. I nostri alunni sono spesso stranieri, o di origine straniera, molti presentano disturbi specifici dell’apprendimento e numerosi sono coloro che presentano bisogni educativi speciali.  Nell’istituto dove lavoro, inoltre, sono presenti  casi di aperto disinteresse verso le discipline umanistiche.
Eppure quest’anno, grazie ad un nuovo modo di presentare saperi e contenuti e di organizzare esercitazioni, sono riuscita a svolgere in buona parte la programmazione prevista e gli studenti hanno raggiunto un buon livello di competenze trasversali (esprimersi in italiano, rispetto delle regole di cittadinanza digitale e della netiquette, buone relazioni all’interno della classe nei lavori di gruppo e, soprattutto, senso di responsabilità e di autonomia, utilizzo di app destinate principalmente alla didattica e creazione di blog condivisi.
Anche i risultati sull’apprendimento contenutistico si è rivelato di maggior consistenza.
Riporto i link dei lavori svolti per i ragazzi (utente) e dai ragazzi (coding, progettazione e realizzazione):

Classi prime:
Corso moodle: “Ita: competenze grammaticali di base”

Classi terze:
Corso moodle:  ITA: Lingua e letteratura italiana flipped risorse”
Email condivisa: terzdorgiorgi@gmail.com
Blog:  
dallartealogo.blogspot.it
 (ancora in fase di lavorazione)

Classi quinte:
Corsi moodle: New mechanics during the second industrial revolution
Blog: 
letteraturaidentita.blogspot.it
 (ancora in fase di lavorazione)

Lavori per la didattica:
Blog personali: 
perdidattica.blogspot.it

 Trasversali in costruzione:




EDMODO

domenica 30 aprile 2017

Una storia semplice

 di Leonardo Sciascia
Ed Corriere della Sera

Prefazione di Andrea Purgatori

IL TESTAMENTO MORALE DI UN SICILIANO

In questa storia non ci sono eroi ma solo mezzi uomini – mezzi poliziotti e mezzi carabinieri, mezzi magistrati, mezzi preti, mezzi testimoni. Gente un po’ rozza e un po’ pavida, che s’aggiusta l’esistenza scansando i problemi. In questa storia l’unico che eroe potrebbe davvero diventare, alla fine s’arrende alla verità più comoda perché, come si dice, ha una vita da campare.
In questa storia di mafia e di droga, ci sono due parole che non compaiono mai: mafia e droga. Ma è tutto chiaro lo stesso. Talmente chiaro che, a immaginarla senza un riferimento alla Sicilia, ai suoi tempi, ai suoi odori e silenzi, l’indagine del brigadiere di polizia Antonio Langandara alla prese con il cadavere di Giorgio Roccella di Monterosso, diplomatico in pensione che tutti vorrebbero suicida e che lui da subito sospetta suicidato, potremmo ritrovarla tale e quale ambientata a Parma, da qualche parte in Provenza o magari in un piccolo villaggio della campagna irlandese.
La lezione è questa: il Male non abita solo la Sicilia, il Male è globale. La Sicilia aiuta solo a capire meglio e più in fretta le cose.
Una storia semplice arrivò in libreria agli inizi di novembre del 1989, che Leonardo Sciascia si stava ormai spegnendo. Erano i giorni della caduta del Muro di Berlino, della violenta repressione cinese dopo Tienanmen, di Dubcek presidente della Cecoslovacchia democratica, di Panama invasa dai marines, della vigilia della rivolta dei rumeni contro il tiranno Ceausescu. In Italia, più modestamente, erano i giorni della nascita del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani). E per Giovanni Falcone a Palermo, era giusto il tempo di preparare le valigie dopo essere sfuggito a un attentato nella sua villa all’Addaura, al culmine di un’estate tormentata, soffocante, dominata dalle lettere anonime di un”Corvo” capace di spargere nuove infamie e veleni su molti magistrati e poliziotti che, in seguito a un famoso articolo di Sciascia pubblicato sul “Corriere della Sera” il 10 gennaio 1987, per molti erano diventati i “professionisti dell’Antimafia”. Il 20 novembre 1989 Leonardo Sciascia muore.
Una storia semplice, scritto nella lunga stagione del malessere fisico e della solitudine, è il suo testamento.
Anche Giorgio Roccella di Monterosso ne lascia uno, di testamento. Due parole e un punto: “Ho trovato.”. Così almeno c’è scritto sul foglio di carta che il brigadiere Langandara scopre nello studio della masseria disabitata da tanti anni, dove l’ex diplomatico aveva improvvisamente deciso di tornare per rileggere e studiare alcune vecchie lettere di Garibaldi e Pirandello, eredità di famiglia, conservate in soffitta.”Ho trovato.”, anche se nessuno immagina cosa.
In testa il foro di entrata di un proiettile, in terra una pistola che ha sì sparato,
ma pare un pezzo d’antiquariato. Tutta qui la scena del delitto, a non volersi complicare la giornata più di tanto. Che è la filosofia del questore, del colonnello dei carabinieri, del magistrato, del commissario, del prete, cioè di tutte le maschere di questa storia semplice, che con lucida stupidità o con premeditazione lucida s’affannano intorno al cadavere nel tentativo di chiudere rapidamente il caso e restituire se stesse alla rassicurante normalità quotidiana. Il questore è il più svelto, ha già in tasca la soluzione, suicidio – “Questo è un caso semplice, bisogna non farlo montare e sbrigarcene al più presto”.
Non è cero il capitano Bellodi del “Giorno della civetta”, uomo curioso, coraggioso, colto, capace di riconoscere una trama nascosta tra le pieghe di un delitto, questo mezzo questore che s’arrangia la vita con un po’ d’arroganza e potere. Gli somiglia di più il brigadiere Langandara, almeno per la curiosità se non per il coraggio. Almeno fino a quando le cose s’ingarbugliano e pure lui comincia a sbandare. La verità è che sono passati trent’anni o poco meno e nel mondo di Sciascia gli eroi sono praticamente svaniti. Per disillusione, per tante esperienze fatte. E sulla scena restano queste pallide figure, che poi siamo tutti noi. Dunque, via le maiuscole – Speranza che diviene speranza, Giustizia che diventa giustizia, Verità che diventa verità. Resta un mondo approssimativo, fatto di mezzi uomini, che si dibatte miseramente per sopravvivere. Dove però esiste un’ultima possibilità di riscatto che è anche l’ultima maiuscola possibile, quella dell’Intelletto, della Cultura, del Ragionamento. Ed ecco che, in mezzo alla folla dei mezzi uomini, tocca ad un anziano professore ristabilire l’ordine delle cose. Più da osservatore malinconico, che da attore. Comunque sia, un palmo sopra tutti gli altri. Si chiama Carmelo Franzò, è un vecchio amico della vittima.
Il procuratore , mezzo uomo anche lui, privo di fantasia e fastidioso nella difesa delle sue insulse conclusione, era stato suo allievo. Adesso le parti si sono invertite, sta pensando. E lui lo tiene in pugno, ha l’autorità, il potere , può interrogarlo. Ma non è della vittima, di come è morto o è stato ucciso, che gli interessa sapere. La prima cosa che ha da chiedergli è solo personale: “Nei componimenti di italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?”. “Perché aveva copiato da un autore più intelligente”. Il magistrato scoppiò a ridere. “L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui…procuratore della Repubblica…”. “L’italiano non è l’italiano: è il ragionare” disse il professore. “Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto”.
Al professore Carmelo Franzò, invece interessano le lettere di Pirandello. Non che la brutta fine del vecchio amico lo lasci indifferente, questo proprio non. Anzi, collabora all’indagine come può. Insinua dubbi, fornisce elementi, arrivando a mettere in crisi il castello di certezze costruito  dal manipolo di mezzi uomini dalle cui mani si dipana l’indagine. Ma quelle lettere… Durante il breve sopralluogo nella masseria del delitto il professore riesce addirittura a sfogliarle, a soffermarsi su qualche frase.
Sciascia spende ben quattro righe – quattro righe di questo racconto, che valgono più di quattro pagine – per annotare quello che gli sta passando per la testa.(A diciotto anni, Pirandello pensava quel che avrebbe scritto fin oltre i sessanta”… “Queste lettere di Pirandello mi piacerebbe leggermele bene”). Che poi è la sua testa, cioè quella di Sciascia. Così come Pirandello, la sua formazione e il suo rovello, durante il suo viaggio di ritorno in macchina verso il paese, si travasano pian piano nel rovello ossessivo del professor Franzò, mentre è intento a ragionare col brigadiere Langandara sugli strani compartimenti di quell’altro mezzo uomo del commissario (Ed enigmaticamente , come parlando tra sé, aggiunse: “Pirandello”).
Una sola donna, in questo racconto: l’ex moglie (straniera) della vittima. Una donna dalle mani laccate e inanellate che però, a differenza di tante altre giovani e meno giovani donne incontrate nei romanzi di Sciascia, - chi non ricorda la sensualissima vedova di “A ciascuno il suo”?-, non sprigiona alcun erotismo  né sensualità. A lei e al figlio che l’ex diplomatico credeva suo, ma che si rivela figlio di uno degli amanti della donna (come atto estremo d’amore per il defunto e d’odio per la madre, il ragazzo dichiara di aver scelto proprio lui come padre e si becca un sonoro ceffone), Sciascia dedica un unico capitolo di appena tre pagine. Tagliente, feroce. Ne esce il ritratto di una mezza donna tra mezzi uomini. Algida, egoista, opportunista, rapace. Che sta giocando le sue carte per un pezzo d’eredità, pronta a strapparlo anche al proprio figlio, se necessario, Una mezza donna il cui ultimo pensiero è sapere di che cosa sia morto il marito. Profondamente razzista: “La signora scrollò le spalle. “Era siciliano,” disse “e i siciliani, ormai da anni, chi sa perché, si ammazzano tra di loro”.
La mafia, la droga ed anche un dipinto rubato. Tutta qui, se vi sembra poco, la spiegazione del “perchè” si ammazzano. Ma non soltanto i siciliani. Di siciliano, in Una storia semplice, c’è invece forte, fortissimo il gusto raffinato, l’ironia di Sciascia che, per parlare di droga senza però mai nominarla, nei magazzini della masseria fa fare al brigadiere Langandara il gioco degli odori: “di zucchero bruciato, di foglie di eucalipto macerate, di alcool”… Un gioco che funziona allo stesso modo per la mafia. O meglio, per la mafiosità del complotto e dei mezzi uomini coinvolti, direttamente e indirettamente, nell’omicidio. Perché mafiosi o semplicemente perché troppo sfiduciati dalle istituzioni, in questo caso dalla giustizia con g minuscola. A cominciare dall’uomo della Volvo, testimone che “spontaneamente” si presente in questura una prima volta per raccontare ciò che sa sulla morte di un capostazione e del suo assistente, ne paga le conseguenze quasi fosse un complice di criminali, e la seconda volta finisce che ci pensa bene e invece di andare a fare il proprio dovere- il dovere di tutti noi, è la metafora di Sciascia - va via per la sua strada, “cantando”.

A rileggerlo- ma si legge d’un fiato- questo testamento politico, etico, scritto sotto forma di racconto lungo, che sprizza pessimismo e disincanto ed è preceduto da una frase di Durrenmatt (“Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”), pare la sceneggiatura bell’è pronta di un film. E nel 1991 lo diventò davvero. Un bellissimo film di Emilio Greco (sceneggiato insieme ad Andrea Barbato), con Gian Maria Volontè protagonista. Anche per Volontè, che di Sciascia aveva già interpretato “A ciascuno il suo” e “Toto modo” per la regia di Elio Petri e “Porte aperte “ di Gianni Amelio, si trattò di una sorta di testamento prima della morte. Ma è un’altra faccenda (volendo, un’altra coincidenza). Una storia semplice è costruita intorno ad una struttura scarna ma solidissima. È una catena di conflitti che scegliendosi diventano il motore della storia stessa. Anche così soltanto nei grandi racconti e nelle grandi sceneggiature. Anche se ispirate da vicende solo in apparenza molto semplici, proprio come questa.